Pari ma non uguali: la (vera) questione di genere e la diversità come risorsa.

Al di là di ogni frase fatta e degli slogan buoni ad aumentare le vendite, scopriamo come la diversità sia una risorsa e non un pericolo.

I regimi di genere e le loro implicazioni per le imprese e il mercato del lavoro.

I regimi di genere strutturano il mercato del lavoro, tanto nelle scelte delle imprese che vi agiscono esprimendo la domanda di lavoro, quanto in quelle della forza lavoro, che ne esprime l’offerta.

Essi sono costrutti sociali, sono cioè frutto dell’interpretazione che le società danno delle differenze sessuali naturali che intercorrono tra maschi e femmine. All’interno del mercato del lavoro quindi vengono attribuiti ruoli, norme e percorsi professionali differenti a seconda che il lavoratore sia di sesso maschile o femminile.

La cosa che bisogna sempre tenere a mente è che, a di là che si tratti di costrutti sociali, la diversità è utile al raggiungimento di migliori livelli di produttività, per tanto non conviene sopprimerla ma valorizzarla.

Uomini e donne sono pari ma, che piaccia o meno, non sono uguali. E questo è sicuramente un bene! Esprimono esigenze e capacità diverse e questa diversità, se non soppressa, costituisce una delle maggiori risorse di un’azienda.

La questione di genere: è solo femminile?

Gli studi di genere che stanno alla base dell’intera riflessione sulla questione dei rapporti tra uomini e donne negli ambienti di lavoro si muove su un piano inclinato: l’emergere della questione femminile nel secolo scorso ha fatto sì che gli studi di genere propendessero a concentrarsi sui regimi di genere che sfavorevoli alle donne. Per esempio, la scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Esistono tuttavia regimi di genere che creano svantaggi anche per gli uomini (si pensi al costrutto sociale che disincentiva gli uomini a fruire dei congedi di paternità ed in generale a partecipare delle funzioni di cura familiare).

Alcuni regimi di genere

Un esempio noto di regime di genere è quello a cui ha dato luce la società industriale propria delle civiltà occidentali del secolo scorso: il regime bread winner. Tale regime prevedere, per convenzione sociale, una netta distinzione tra ruoli produttivi e riproduttivi, cioè tra la sfera attinente al lavoro retribuito e quella propria del lavoro domestico, tanto da arrivare a generare il ruolo di casalinga. Nella connotazione di tale regime in cui è l’uomo a partecipare dei ruoli produttivo (male bread winner), la donna ricopre una funzione di cura e di lavoro sostanziale ma non formale, non retribuito, e ha scarse possibilità di perseguire obiettivi di carriera, mentre spetta all’uomo provvedere economicamente ai bisogni familiari.

Altri esempi sono i fenomeni del sex-typing e del glass-ceiling: il primo porta a segmentare il mercato del lavoro sull’asse delle professioni che la stratificazione culturale definisce tipico delle donne o degli uomini (una tipizzazione in cui spesso le mansioni ricoperte da donne possono essere meno redditizie rispetto a quelle tipiche degli uomini); il secondo, indicato anche come dinamica del soffitto di vetro, è un fenomeno secondo cui uomini e donne, sempre nella logica dei processi di costruzione sociale, hanno possibilità di carriera diverse, sono instradati su percorsi lavorativi di maggiore percorrenza per i primi e di minore per le seconde.

Il ruolo delle imprese

Le imprese sono il contesto sociale in cui tali regimi hanno prevalentemente luogo. Da ciò discende che spetti a loro la destrutturazione dei regimi di genere che distorcono in maniera più vistosa l’allocazione funzionale delle risorse umane. Esistono tante possibilità: a titolo di esempio, il passaggio dall’ottica della conciliazione (che presuppone di per sé un conflitto tra la vita lavorativa e vita privata) alla logica del work & life balance, che permetterebbe di destrutturare il regime del male bread winner (oggi si parla di dual bread winner).

Un altro aspetto su cui concentrarsi è il superamento del concetto di parità numerica forzata all’interno dei team aziendali, partendo dal presupposto che non è detto che parità perfetta significhi efficienza: nel concepire la composizione di uno staff è plausibile per esempio prendere in considerazione combinazioni ottime di uomini e donne o in generale evitare situazioni eccessivamente sbilanciate (team di sole donne).

Agire su questo fronte permetterebbe alle aziende di ottimizzare le condizioni di scambio domanda/offerta su cui si incardina il mercato del lavoro: maggiore diversificazione dei ruoli manageriali (e conseguente efficientamento dei processi decisionali) e minore sperpero del capitale umano incorporato dalla forza lavoro femminile, sono solo alcuni dei benefici che imprese e lavoratori ne trarrebbero.

Pubblicato da GiovanniPorcariHR

Dopo una tesi sugli effetti dei flussi di capitale umano sul mercato del lavoro, mi sono occupato di Talent Acquisition nel Regno Unito, per poi collaborare in uno studio di consulenza del lavoro in Italia. Attualmente affianco all'attività lavorativa un master in direzione del personale e consulenza del lavoro. Mi interesso di cultura del lavoro, musica e sport, in particolare di rugby e alpinismo.

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