Il datore di lavoro non può al momento obbligare i dipendenti a vaccinarsi. E questo, a pensarci su, è un bene.
Vaccino dopo vaccino, l’immunità di gregge è sempre più vicina. Chi ci ha governato ha imposto che venisse data priorità alle persone anziane – che avrebbero comunque poche possibilità di contagiare qualcuno stando in casa; così i lavoratori sono costretti a muoversi per lavorare (quindi in definitiva per mandare avanti il Paese) nella precarietà sanitaria.
Ma il tema della vaccinazione dei lavoratori è già parecchio dibattuto, con toni – dobbiamo dirlo – quasi da stadio. La verità è che, almeno al momento, non esiste alcun obbligo alla vaccinazione, il quale sarebbe anche incostituzionale nonché culturalmente pericoloso. Ma andiamo con ordine.
E’ obbligatorio il vaccino? Ichino e Guariniello alla ricerca dell’obbligo di legge
Il presupposto per imporre la vaccinazione ad un lavoratore non può che essere un obbligo di legge. L’articolo 32 della Costituzione chiarisce infatti che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge.
Pietro Ichino, noto giurista del lavoro, è forse la voce più autorevole che si è espressa in favore dell’obbligo di vaccinazione per i lavoratori. Il professore e avvocato milanese trova l’obbligo di legge nell’articolo 2087 del codice civile, il quale afferma che l’imprenditore deve adottare tutte le misure che, sulla base della particolarità del lavoro, dell’esperienza e della tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore. Da questo articolo egli fa discendere l’implicita obbligatorietà del vaccino, e quindi la possibilità per il datore di lavoro di licenziare i lavoratori che lo rifiutino.
Si è spesso definito l’articolo 2087 c.c. come una norma di chiusura dell’ordinamento, cioè una norma che stabilendo un principio generale, può essere applicata in tutti i casi riconducibili allo spirito della norma stessa; l’articolo 2087 quindi, pur non espressamente prevedendo il rischio di contagio, imporrebbe comunque al datore di lavoro di adottare le misure necessarie allo svolgimento in sicurezza dell’attività lavorativa, ivi compresa la vaccinazione.
Un’analogia utile in merito è quella relativa alle leggi regionali sul mobbing: il nostro ordinamento non prevede specificatamente una legge che protegga il lavoratore dai rischi connessi al mobbing. Negli anni 2003/2004 furono varate alcune leggi regionali, che vennero poi sottoposte al giudizio della Corte Costituzionale, la quale le respinse indicando proprio nell’articolo 2087 c.c. la norma che vincolava già ad intervenire per contrastare questo rischio anche senza prevederlo espressamente. Allo stesso modo l’obbligo di vaccino sarebbe per Ichino implicitamente estendibile dal citato articolo 2087 c.c (1).
Raffaele Guariniello invece riconduce al TU in tema di salute e sicurezza (in particolare art 279 c 2 d. lgs. 81/2008) l’obbligo di legge che permetterebbe ad un datore di lavoro di licenziare il lavoratore in tal senso inadempiente. Il Testo Unico prevede che “(Qualora l’esito della valutazione del rischio ne rilevi la necessità, i lavoratori esposti ad agenti biologici sono sottoposti alla sorveglianza sanitaria) e il datore di lavoro, su conforme parere del medico competente, adotta misure protettive particolari […], fra le quali la messa a disposizione di vaccini efficaci per quei lavoratori che non sono già immuni all’agente biologico presente nella lavorazione“.
Su indicazione del medico competente (in seguito anche all’adeguamento del DVR) il datore di lavoro, secondo Guariniello, sarebbe legittimato a produrre atti di sospensione dell’attività lavorativa o addirittura di recessione dal rapporto di lavoro nei confronti dei lavoratori che non accettino di vaccinarsi (2).
Perché non esiste alcun obbligo di legge
L’articolo 32 della Costituzione, come ricordato, chiarisce come nessuno possa essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Prendere in considerazione le ipotesi di Guariniello e Ichino richiede di verificare l’esistenza di tale obbligo.
La tesi di Guariniello soffre di una debolezza abbastanza palese: per quanto sia vero che il rischio di contagio da COVID-19 rientri a pieno titolo tra i rischi biologici, la norma parla solo di messa a disposizione dei vaccini e non di obbligo alla vaccinazione; ma ancor più l’art 279 è inserito nel titolo X del decreto, che riguarda tutte le attività che per la loro natura comportano l’esposizione a rischi collegati ad agenti biologici. Ma è possibile estrapolare un obbligo generale, come quello richiesto dall’articolo 32 Cost, da una norma che riguarda solo settori specifici?
Alla tesi di Ichino risponde invece Marco Lai, responsabile area giuslavoristica Centro Studi Cisl, per il quale “non si può ritenere sufficiente il richiamo all’art. 2087 c.c., stante la sua portata indeterminata, per dare attuazione all’art. 32, comma 2 Cost., che richiede una norma specifica diretta ad imporre la vaccinazione” (3). Il nesso tra l’articolo e un eventuale obbligo al vaccino risulta, in poche parole, molto debole.
Infine occorre ricordare che proprio la vigente normativa emergenziale vieta i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, mentre un eventuale licenziamento ricadrebbe proprio in questa tipologia di recessioni dal rapporto di lavoro, in quanto causato da sopravvenuta inidoneità all’attività lavorativa.
In mancanza di uno specifico obbligo di legge, l’eventuale licenziamento sarebbe con ogni probabilità giudicato discriminatorio ai sensi dell’articolo 4 DL 216/2003 e dell’articolo 32 Cost. Nel caso il medico competente certifichi l’inidoneità del lavoratore sarebbe più saggio spostarlo su mansioni differenti che ne limitino la capacità di contagio (ovviamente allo stesso livello retributivo), oppure sospenderlo per il tempo necessario al rientro dell’emergenza sanitaria. Tuttavia anche questi provvedimenti sarebbero facilmente impugnabili dal lavoratore per i motivi pocanzi richiamati.
Una minaccia alla nostra cultura
Ma soprattutto l’imposizione della vaccinazione ex lege sarebbe un attacco diretto al sistema culturale sul quale si basa il nostro vivere comune. Si tratterebbe infatti di un forte segnale di anti-democrazia e di paternalismo, una cultura politica nella quale lo Stato entra prepotentemente nel tessuto sociale e si sostituisce alla persona nello stabilire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.
Per quanto l’intervento dello Stato sia a volte necessario, in questo caso esso non sarebbe assolutamente giustificato. Inoltre si verrebbe a creare un pericoloso precedente che, assieme al blocco dei licenziamenti, metterebbe sulle spalle di Roma un peso che nemmeno riuscirebbe a sopportare. La riforma del Titolo V del Costituzione – 20 anni fa – aveva lasciato presagire che i tempi fossero maturi per una sussidiarietà vera ed efficace. Questi mesi di pandemia invece ci hanno messo davanti agli occhi un dialogo tra Stato e regioni quanto mai immaturo, nel quale il primo mostra infantilmente i muscoli anche a proprio danno, mentre le seconde non hanno la forza di tirare il sasso senza ritrarre la mano.
NOTE:
(1) Corriere della Sera e pietroichino.it, https://www.pietroichino.it/?p=57733, 29.12.2020
(2) La Repubblica, https://www.repubblica.it/politica/2020/12/29/news/guariniello_obbligo_vaccino_covid_lavoratore_si_rifiuta_rischio_posto_lavoro_datore_di_lavoro_legge_81-280283009/, 29.12.2020
(3) Bollettino ADAPT, http://www.bollettinoadapt.it/obbligo-di-vaccinazione-e-rapporto-di-lavoro-prime-riflessioni/, 25.01.2021